Infinito Oberweger

Infinito Oberweger, FIDAL, 2000

In quella foto di copertina – lo sfondo è di un soffuso azzurrato, come nel paesaggio di Giorgione – il vecchio albatros sbatte le sue grandi ali proponendo esercizi di emulazione a colui che di volta in volta fu l’Ercole o l’Achille (ma senza bellicosità) dello sport d’Italia, Adolfo Consolini. Il libro che sta rinchiuso all’interno di quell’immagine terrena e sublime è, nel campo dello sport, uno dei più belli che in Italia siano stati scritti, e nel titolo sta il senso dell’operazione di conservazione della memoria e di accurata ricostruzione. In un gioco di perfetti incastri: narrare la storia del campione, del grande tecnico, del fondatore di un magistero nel campo dell’allenamento e della sua teoria, del pilota di caccia, dell’inventore, dell’affabulatore, è anche l’occasione per narrare la storia dell’atletica memorabile dagli anni Trenta agli inoltrati Sessanta, ripercorrere quella dello sport italiano, del Paese stesso.

Il giudizio può essere snaturato, deviato dalla lunga, profonda amicizia con l’autore: Augusto Frasca, giornalista, storico, responsabile di uffici stampa che hanno fatto epoca, è un cartesiano che dentro coordinate obbligate, di stretta osservanza, riesce a far sgorgare il fiume delle emozioni, dei sentimenti, dei brividi, degli orgogli che uno sport non inflazionato, non asservito, riusciva a trasmettere. In questo senso, Giorgio Oberweger non può che essere protagonista perfetto, quasi ideale: italiano d’Istria – di Parenzo – con radici paterne austriache, poliglotta per nascita, campione sin dal suo primo apparire con quel fisico così poco italico per una specialità – il disco – che da sempre ha richiesto ipertrofie che Ober mai vantò. Ma anche capace di memorabili intrusioni negli ostacoli.

Gli 85 anni di vita di Oberweger scorrono attraverso le testimonianze di chi lo incontrò – e sono giornalisti come Brera e Roghi, Berra e Lòriga, Cavallari e Morino, tecnici come Russo, Calvesi, Vittori, amici solidissimi come Pasquale Stassano, sodali di sangue come lo zaratino Ottavio Missoni – in un itinerario di vita che lo vide salire sul podio di Berlino ’36, che lo portò nella carlinga di un G50 in Africa settentrionale, che gli guadagnò il titolo di commissario tecnico nel primissimo dopoguerra per una striscia temporale che si sarebbe allungata sino all’Olimpiade di Messico ’68. Dall’Italia di Consolini e Tosi (con i quali scese in pedana a Londra ’48), a quella di Dordoni, Berruti, Giuseppina Leone, Pamich, Morale, Gentile, Ottoz. Il percorso non può che riportare agli esordi: perché quella copertina, soffusa della luce di tempi passati e memorabili?. <<Quella foto – scrive Frasca – è una carta vincente per legare gli archetipi della nobiltà di un’epoca a quanto oggi d’essa resta in un quadro sociopolitico cosparso di Yeti e bottegai. Una pedagogia scardinata nei valori fondamentali, sostituita da una realtà televisiva manicomiale, nei cui confronti non sai quanto sia più sano ridere o indignarsi. Uno sport gonfio, in ogni senso, dalle porcherie che alterano muscoli e arterie fino all’imbecillità di quanti fanno del comportamento d’un arbitro o della dichiarazione di un allenatore argomento quotidiano dal lunedì alla domenica. Dove un monumento come Consolini diventa per i più un ectoplasma>>. E altro non c’è da dire. Se non leggere.

Giorgio Cimbrico, Secolo XIX, 5 luglio 2000

Per vincere l’ansia del dollaro, da gare che sono spettacolo ma non proprio gare dove lasci le budella, ci siamo portati dietro un santo breviario, l’ultimo uscito dalla cella dell’Abate Augusto Frasca, poiché soltanto leggendo Infinito Oberweger, storia di un uomo grande, geniale, storia bella di uno sport che fa fatica a depurarsi il sangue, in ogni senso ritroviamo la pace, senza l’incubo di quegli occhi che ti spiano nel buio.

Oscar Eleni, Corriere dello Sport, Parigi, 16 giugno 2000


La corsa del secolo

Dorando Pietri, La corsa del secolo, Aliberti, 2007

C’è un libro, La corsa del secolo, nero, elegante, che ad Augusto Frasca (giornalista, studioso, amico) è costata la fatica dello scavo, del rinvenimento dei reperti, della pulitura dalle scorie, della rivelazione: l’opera sognata da una vita, realizzata nella maturità piena. Lorenzo Ghiberti impiegò 23 anni per la Porta del Paradiso del Battistero fiorentino. Frasca un po’ meno, ma lo spirito non è dissimile: dedizione assoluta e una ricerca alle fonti, una dopo l’altra perché divengano largo fiume. Il risultato è la migliore delle guide possibili dentro la corsa che diventa il titolo, lunga un secolo.

Giorgio Cimbrico, Il Secolo XIX, 12 aprile 2008

La leggenda di Dorando Pietri va bene al di là della drammatica maratona olimpica del 1908. È uno squarcio di storia del costume italiano e anche del mondo di quei tempi, del senso di avventura che regnava tra i due continenti divisi dall’Atlantico. Carpi sta preparando grandi manifestazioni di impronta culturale. Approfitto per segnalare un libro splendido, monumentale, documentatissimo, animato da fantastiche illustrazioni, scritto da Augusto Frasca, uno dei più apprezzati cultori di atletica d’Europa.

Candido Cannavò, Gazzetta dello Sport, 11 maggio 2008

Oggi Dorando rivive nei libri. Uno per tutti: “Dorando Pietri. La corsa del secolo“, per la firma di Augusto Frasca, straordinario storico e scrittore, cronista e ricercatore, appassionato di sport e della sua cultura, cultore principe dell’atletica.

Riccardo Signori, Il Giornale, 11 aprile 2008


Garzantina dello sport

Enciclopedia dello sport, Garzanti, 2008

C’è sempre qualcosa di intimo nelle Garzantine: il sapere semplificato, il bene sovrano della sintesi, opere oneste e scrupolose, ma senza supponenza neanche formale. L’enciclopedia come amica. Me ne trovo in mano una dalla copertina rosa: colore di famiglia. E che cosa immaginate possa esserci scritto su una rosea facciata che richiama la mamma Gazzetta? Sport: in caratteri scolpiti, eleganti, non vistosi. La Garzantina dello sport è già in libreria e se volete farvi un bel regalo o farlo ai vostri figli, mi sembra che questa sia una scelta di garanzia: tutto lo sport possibile in un volume che è così denso che sembra debba scoppiarvi tra le mani. La prima curiosità viene dagli autori. Due colleghi tanto diversi l’uno dall’altro. Claudio Ferretti, figlio d’arte, telecronista e autore della Rai, ha spaziato dal Giro d’Italia a trasmissioni culturali con un linguaggio sempre soffice, gradevole, senza mai uno strillo. Il padre era Mario Ferretti, quello di una leggenda ciclistica, la Cuneo-Pinerolo: Un uomo solo al comando… Con Claudio abbiamo vissuto in diretta il dramma di Pantani a Madonna di Campiglio in quella maledetta alba del 5 giugno del ’99, uno dei giorni più brutti della mia vita professionale. Augusto Frasca viene dalla base culturale dello sport: l’atletica. È stato per venti anni capo ufficio stampa della federazione e ultimamente ha tirato fuori il meglio della sua esperienza in un libro favoloso dedicato a Dorando Pietri nel centenario della famosa maratona londinese del 1908. Due colleghi di stampo diverso sono diventati armonici in questa Garzantina che sembra sfidarti con la sua dolce copertina rosa.

Candido Cannavò, La Gazzetta dello Sport, 19 dicembre 2008.

Una standing ovation per Claudio Ferretti ed Augusto Frasca, autori di un’opera fenomenale che mancava alla cultura nazionale.

Gianni Mura, La Repubblica, novembre 2008

Un libro senza rete. La Garzantina dello sport presenta un’unica insidia per dita e polsi: è un volume sul chilo abbondante, 1670 pagine, 6100 voci. Claudio Ferretti e Augusto Frasca hanno lavorato per tre anni. Ferretti, figlio del Ferretti Mario che invento “l’uomo solo al comando”, viene da un’infinita milizia radiotelevisiva. Frasca, dall’atletica pensata, organizzata, studiata con l’attenzione dello storico che rifiuta di procedere a palmi, per approssimazioni, ma solo con la preziosità del metodo. Traspare dall’opera, sterminata successione alfabetica di personaggi, temi, approfondimenti, monografie. L’enciclopedia colma lacune ripulendo le fonti, lucidando la memoria opaca, sciabolando, come novità meravigliose, vicende vecchissime, rendendo palese quanto poco sappiamo, invitando a colmare i vuoti, a provarci.

Giorgio Cimbrico, Il Secolo XIX, 22 dicembre 2008.


Un uomo solo al comando

Dordoni, un uomo solo al comando, Sei Decimi, 2002

Un uomo solo al comando – titolo bellissimo – non racconta, vi avverto, Fausto Coppi. Racconta un altro campionissimo, uno dei più grandi campioni nella storia dello sport e non solo della marcia e dell’atletica. La marcia sa essere gioiosa e straziante e l’uomo di Piacenza l’ha vissuta con limpida dignità perché era la canzone della sua vita, perché era il modo di attraversare gli anni con una dirittura morale davanti alla quale mi sono sempre inchinato. Augusto Frasca marcia, è il caso di dirlo, nella vita di Pino Dordoni, scrutando e osservando, con scrupolo, anche altre vicende dello sport. E ne emerge una storia emozionante come un romanzo d’avventure. “Un uomo solo al comando” riunisce i frammenti in un tutto completo e splendido che consegna alla memoria quella vita in modo imperituro, quella vita spezzata a settantadue anni, quando, come ha scritto Augusto Frasca, “la vita è ancora un diritto”.

Remo Musumeci, Sportivo, novembre 2002


Giulio Onesti, lo sport italiano

Giulio Onesti, lo sport italiano, Fondazione Giulio Onesti-CONI, 2012

Una ricostruzione perfetta, sia dell’epoca storica sia del personaggio che ha lasciato il proprio nome legato indissolubilmente, da protagonista assoluto, ad uno dei migliori periodi vissuti dallo sport nazionale nella sua lunga storia. E poi, insieme con una sorprendente dovizia documentativa, la qualità di un linguaggio e di una scrittura da assegnare alle pagine più esclusive della pubblicistica nazionale. Frasca ci aveva già lasciato in eredità capolavori come il libro su Dorando Pietri, o come la meravigliosa pubblicazione realizzata in coincidenza con i cinquanta anni dai Giochi di Roma. Con il libro su Giulio Onesti, ha fatto ancora una volta centro, fin dalle prime righe, da antologia: Fece di una res nullius un monolito. Forte. Mai obliquo. Raramente sofferente. Di uno sfascio, una riserva biblica. Se fu oligarca, e lo fu, avvenne per manifesta superiorità…

Gianni Letta, giugno 2012, presentazione al Foro Italico.